Buoni Pasto: L'Incentivo Perfetto per Attrarre e Ritenere i Talenti
I buoni pasto, noti anche come "ticket restaurant", rappresentano un comune metodo di retribuzione in natura che gode di vantaggi fiscali e contributivi. Questi benefici sono garantiti entro certi limiti giornalieri e sono esclusi da imposte.

Ambito Normativo
Secondo l'art. 51 del TUIR (DPR 917/86), alcune forme di retribuzione in natura, inclusi i buoni pasto, non influenzano il reddito imponibile del lavoratore sotto determinate condizioni. Queste includono:
- Pasti forniti dal datore di lavoro;
- Vitto in mense aziendali o gestite da terzi;
- Alternative al vitto in mensa, come i buoni pasto;
- Indennità sostitutive del vitto in specifici contesti lavorativi.
Le aziende possono scegliere la modalità di somministrazione di vitto più adatta alle loro e ai loro dipendenti, come già indicato in una circolare del Ministero delle Finanze del 1997.
Regolamentazione dei Buoni Pasto
I buoni pasto, secondo il DM del 7 giugno 2017 n.122 in attuazione dell'art. 144 del D.Lgs. 50/2016, sono considerati prestazioni in natura. Questi buoni, fisici o elettronici, conferiscono il diritto a un pasto equivalente al loro valore facciale e fungono da prova di servizio per i ristoranti affiliati.
Dettagli sul Regime Fiscale e Contributivo dei Buoni Pasto
In base alla normativa italiana, specificamente il D.Lgs. 314/97 che ha modificato l'articolo 51 del TUIR, il reddito di lavoro dipendente include vari tipi di retribuzioni e benefici, tranne alcune eccezioni. Tra queste eccezioni, le prestazioni che sostituiscono il vitto, come i buoni pasto, sono escluse dal reddito imponibile fino a un limite giornaliero stabilito.
Parametri di Esenzione e Implicazioni Fiscali

Per i buoni pasto cartacei, il limite di esenzione è fissato a €4 al giorno, mentre per quelli elettronici è di €8. Questi limiti sono stabiliti in armonia con le politiche di allineamento delle basi imponibili per tasse e contributi previdenziali. Si sottolinea, inoltre, l'importanza che i buoni pasto siano distribuiti in modo equo tra i dipendenti o specifiche categorie di essi, come indicato nella Circolare MEF n. 326 del 1997.
Criteri Specifici per la Validità dei Buoni Pasto
I buoni pasto devono rispettare determinati requisiti per essere considerati validi ai fini fiscali. Deve essere chiaro il valore nominale di ciascun buono, il tipo di prestazione a cui danno diritto, la loro non trasferibilità e non cumulabilità, oltre alla loro specifica destinazione ai dipendenti aventi diritto. Questi buoni devono essere utilizzabili esclusivamente per il servizio di mensa e non possono essere convertiti in denaro.
Applicazione Fiscale in Contesti Specifici
L'Agenzia delle Entrate, attraverso varie risposte a interpelli, ha chiarito aspetti specifici riguardanti l'uso dei buoni pasto. Ad esempio, nella Risp. AE n. 377 del 14 luglio 2022, è stato specificato che i risparmi derivanti dai buoni pasto non utilizzati non possono essere reimpiegati per finanziare altri tipi di retribuzione o benefici lavorativi. Questo dimostra come il regime fiscale favorevole dei buoni pasto sia strettamente limitato a questa specifica forma di retribuzione.
Implicazioni IVA sui Buoni Pasto
L'Agenzia delle Entrate ha anche fornito chiarimenti sull'applicazione dell'IVA in relazione all'uso dei buoni pasto. Se un dipendente paga l'intero pasto con i buoni, l'IVA si applica alla prestazione di servizi fornita dalla mensa aziendale alla società che emette i buoni, con un'aliquota del 10%. In caso di pagamento parziale in contanti, si applica un'aliquota IVA del 4% sulla parte pagata in contanti, mentre la quota coperta dai buoni pasto segue l'aliquota del 10%, rilevante al momento della fatturazione dei corrispettivi alla società emittente.
Queste normative riflettono l'approccio complesso e dettagliato che il sistema fiscale italiano adotta nei confronti dei benefit aziendali come i buoni pasto. Garantendo vantaggi sia ai datori di lavoro sia ai lavoratori, questi strumenti si configurano come elementi chiave nella gestione delle risorse umane e nelle strategie di welfare aziendale.
Modifiche Normative e Uso dei Buoni Pasto
Il Decreto Ministeriale 122/2017 ha introdotto significative variazioni nell'impiego dei buoni pasto, allentando le restrizioni legate agli orari di lavoro e consentendo un utilizzo cumulativo fino a otto buoni, con la specifica che non possono essere impiegati da persone diverse dal titolare. Questi buoni sono esclusivamente per l'uso personale e non possono essere scambiati o convertiti in denaro.
Destinatari dei Buoni Pasto
I destinatari dei buoni pasto includono i dipendenti con contratti di lavoro subordinato, sia a tempo pieno sia parziale, e collaboratori, anche in assenza di una pausa pranzo fissata. Questo ampliamento deriva dall'articolo 14 vicies ter del DL 115/2005, convertito nella Legge 168/2005, che aveva l'obiettivo di incrementare la produttività nel settore pubblico.
Quadro Legale e Interpretazione
Il DPCM del 18 novembre 2005, ora non più in vigore, forniva una definizione formale dei buoni pasto e delle modalità di utilizzo. La Risoluzione AE n. 118 del 2006 ha poi chiarito che, sebbene non sia una norma tributaria, essa ha implicazioni fiscali importanti, come delineato dall'art. 51, c. 2, TUIR.
Implicazioni del DM 122/2017
Con l'introduzione del DM 122/2017, si è superato il requisito di utilizzo dei buoni esclusivamente durante la giornata lavorativa, permettendo così un utilizzo più flessibile.
Criteri per l'Esclusione Fiscale
Per essere esclusi dal reddito imponibile, i buoni pasto devono essere distribuiti a tutti i dipendenti o a categorie omogenee di essi, con un'interpretazione ampia della nozione di "categorie di dipendenti", che va oltre le tradizionali suddivisioni professionali.
Opzioni per l'Esclusione dei Buoni Pasto dal Reddito Imponibile
La normativa non specifica regole precise per escludere, completamente o parzialmente, i buoni pasto dal calcolo del reddito imponibile. Di conseguenza, i datori di lavoro hanno la libertà di optare per la soluzione più adatta alle loro necessità organizzative e alla natura dell'attività svolta. È anche possibile adottare più metodi contemporaneamente. Ad esempio, un'azienda potrebbe offrire un servizio di mensa per una certa categoria di lavoratori, buoni pasto per un altro gruppo e un'indennità sostitutiva per un terzo gruppo. In alternativa, potrebbe fornire sia il servizio di mensa sia l'indennità sostitutiva o i buoni pasto a quei dipendenti che, per ragioni lavorative, non possono usufruire del servizio mensa. Tuttavia, secondo l'interpretazione letterale della legge, un singolo dipendente non può beneficiare sia del servizio mensa sia dei buoni pasto o dell'indennità sostitutiva per lo stesso giorno lavorativo, in termini di esclusione dal reddito imponibile.
Rimborso Spese Vitto e Utilizzo dei Buoni Pasto
Il rimborso delle spese sostenute dai dipendenti per i pasti in ristoranti o altri esercizi pubblici, in assenza di convenzioni specifiche tra il datore di lavoro e tali esercizi, o al di fuori delle situazioni di trasferta lavorativa, non è classificabile come una “prestazione sostitutiva” di mensa. Di conseguenza, questo tipo di rimborso viene considerato come parte integrante del reddito di lavoro dipendente e soggetto a tassazione.

In merito all'utilizzo dei buoni pasto, il Principio di diritto n. 6 emesso dall'Agenzia delle Entrate il 12 febbraio 2019 chiarisce che un eventuale utilizzo improprio dei buoni pasto ricevuti non influisce sulla rilevanza fiscale. In particolare, il divieto di cumulare più di otto buoni pasto, come stabilito dal DM 7 giugno 2017 n. 122, non ha effetti sull'importo esente da IRPEF nel reddito di lavoro dipendente. Il datore di lavoro è responsabile solo di verificare le condizioni di erogazione dei buoni pasto e di applicare correttamente le norme dell'art. 51, c. 2, lett. c) TUIR.
Il DM 7 giugno 2017 n. 122 regola l'utilizzo dei buoni pasto, consentendo il loro cumulo fino a otto ticket nei supermercati e l'utilizzo in altri luoghi come agriturismi o mercatini, ribadendo che i buoni pasto non sono trasferibili.
È possibile distribuire buoni pasto con un valore nominale superiore al limite di esenzione fiscale, ma la parte eccedente è considerata reddito di lavoro dipendente e soggetta a tassazione. Questo è stato precisato dall'Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 26 del 29 marzo 2010, che stabilisce che qualsiasi importo oltre il limite di esenzione (all'epoca € 5,29) non può essere considerato parte dell'esenzione prevista dal comma 3 dell'art. 51 TUIR, il quale stabilisce l'esenzione per beni e servizi erogati fino a un valore massimo di € 258,23 nel periodo d'imposta.
Buoni Pasto in Alternativa al Premio di Risultato e Innovazioni Tecnologiche
È importante sottolineare che i buoni pasto mantengono il loro regime di esenzione fiscale e contributiva anche quando i lavoratori optano per riceverli al posto del premio di risultato, il quale è soggetto a una imposta sostitutiva dell'IRPEF. Questo è conforme al comma 184 dell'art. 1 della legge di Stabilità 2016, che stabilisce esplicitamente che le somme e i valori menzionati nei commi 2 e 3 dell'art. 51 TUIR non influenzano il reddito di lavoro dipendente e non sono soggetti a imposta sostitutiva, anche se scelti dai lavoratori in sostituzione, parziale o totale, del premio di risultato. Questo a patto che tali somme siano parte dei premi o utili nell'ambito del regime agevolato previsto dall'art. 1, comma 182, della stessa legge di Stabilità e che la contrattazione di secondo livello conceda ai dipendenti la possibilità di convertire i premi o gli utili in benefit come previsto dagli articoli citati.
Inoltre, il principio di diritto n. 3 dell'8 ottobre 2018 dell'Agenzia delle Entrate equipara i servizi resi tramite app mobile per smartphone ai servizi sostitutivi di mensa forniti tramite buoni pasto. L'Agenzia sostiene che anche in questo caso la determinazione del reddito di lavoro dipendente seguirà le disposizioni dell'art. 51, comma 2, lettera c), del TUIR. Dal punto di vista dell'IRES, il costo sostenuto dal datore di lavoro per gestire questi servizi è considerato come un onere per l'acquisizione di un servizio complesso, che va oltre la semplice fornitura di alimenti e bevande, e pertanto non è soggetto alle restrizioni di deducibilità indicate dall'art. 109, comma 5, del TUIR.
Buoni Pasto e Smart Working: Considerazioni Specifiche
Il diritto al buono pasto per il lavoratore sorge quando questo è stabilito dal contratto collettivo–nazionale, aziendale, dal contratto individuale di lavoro o è parte di una prassi consolidata in azienda. La Corte di Cassazione ha stabilito che il buono pasto non ha carattere retributivo ma risarcitorio, pertanto viene generalmente non erogato in caso di assenza del lavoratore, come durante le ferie o per altre ragioni.
La situazione del lavoro agile (smart working), introdotta in particolare come misura preventiva durante la pandemia di Covid-19, ha sollevato interrogativi sulla correttezza di erogare buoni pasto per i giorni in cui il lavoratore opera da casa. Se ciò è previsto dalla contrattazione collettiva o da accordi individuali, la risposta è affermativa. In assenza di queste condizioni, generalmente il buono pasto non è dovuto.
Questa interpretazione è stata confermata dalla giurisprudenza, come nel caso del tribunale di Venezia (sentenza dell'8 luglio 2020, n. 1069), che ha decretato che i buoni pasto non spettano ai dipendenti pubblici in smart working, in quanto questa modalità di lavoro è incompatibile con il beneficio del buono pasto, nonostante la Legge 81/2017 stabilisca la parità retributiva tra lavoratori in smart working e quelli in sede.
Invece, se il datore di lavoro decide di erogare i buoni pasto anche durante lo smart working, questi sono ancora soggetti al beneficio fiscale. L'Agenzia delle Entrate, nell'interpello n. 123 del 22 febbraio 2020, ha precisato che, in assenza di limitazioni specifiche, i buoni pasto rientrano nel regime di parziale imponibilità fiscale come indicato nell'art. 51, comma 2, lettera c), del TUIR. Questo vale indipendentemente dalle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa. Di conseguenza, il datore di lavoro non è tenuto a trattenere l'acconto IRPEF sui buoni pasto, nel limite di €4 per i buoni cartacei o €8 per quelli elettronici, anche per i lavoratori in smart working.
Requisiti Formanti dei Buoni Pasto Cartacei ed Elettronici
Per quanto riguarda i buoni pasto cartacei, questi devono includere specifiche informazioni:
a) Il codice fiscale o la denominazione del datore di lavoro;
b) Il nome e il codice fiscale dell'ente emittente;
c) Il valore del buono in moneta corrente;
d) La scadenza per l'utilizzo del buono;
e) Un'area designata per la data di utilizzo, la firma del possessore e il timbro del locale convenzionato dove viene speso il buono;
f) Una dichiarazione che precisa che il buono non può essere trasferito, accumulato oltre otto unità, venduto o convertito in denaro; e che deve essere utilizzato solo se datato e firmato dal possessore.
Nei buoni pasto elettronici, queste informazioni sono registrate elettronicamente. I dettagli relativi alla data di utilizzo del buono e all'esercizio convenzionato dove viene utilizzato sono associati elettronicamente al buono al momento dell'uso. L'obbligo di firma del titolare viene soddisfatto associando al buono, memorizzato su un supporto informatico, un numero o codice identificativo univoco del titolare.
Categorie di Esercizi Convenzionati per l'Accettazione dei Buoni Pasto
I buoni pasto sono generalmente accettati in una vasta gamma di esercizi che operano nel settore alimentare. Dal 9 settembre 2017, in seguito all'introduzione del DM 122 del 2017, si è assistito a un ampliamento significativo delle tipologie di esercizi che possono accettare i buoni pasto come parte del servizio sostitutivo di mensa. Queste categorie includono:
a) Esercizi che offrono servizi di somministrazione di alimenti e bevande, come definito dalla Legge 287/91. Questi includono ristoranti, bar, e altri locali simili dove si possono consumare pasti e bevande.

b) Locali che gestiscono mense aziendali e interaziendali. Questi possono essere sia mense interne alle aziende che servizi esterni che forniscono pasti ai dipendenti di più aziende.
c) Negozi che si occupano di vendita al dettaglio di prodotti alimentari, sia in sedi fisse che in aree pubbliche, come previsto dal Decreto Legislativo 114/98. Questo include supermercati, negozi di alimentari, e venditori ambulanti.
d) Punti vendita che offrono prodotti alimentari prodotti e venduti direttamente in locali di produzione o adiacenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 5, comma 1, della Legge 443/85. Questo potrebbe includere, ad esempio, panifici o pasticcerie che vendono prodotti fatti in loco.
e) Imprenditori agricoli, coltivatori diretti e società semplici che esercitano l'attività agricola, vendendo prodotti provenienti dai propri terreni, come stabilito dagli articoli 4, comma 1 e 8-bis, del Decreto Legislativo 228/2001 e iscritti nella sezione speciale del registro delle imprese. Questo si estende ai prodotti venduti sia per il consumo sul posto che al dettaglio.
f) Aziende che offrono servizi di agriturismo, come definito dalla Legge 96/2006. In questi casi, vengono somministrati pasti e bevande costituiti principalmente da prodotti propri o di aziende agricole locali.

g) Attività di ittiturismo, ovvero la somministrazione di pasti basati principalmente su prodotti derivanti dall'attività di pesca, in conformità all'articolo 12, comma 1, della Legge 96/2006, effettuata da imprenditori ittici.

h) Esercizi che vendono prodotti alimentari, anche trasformati, nei locali adiacenti a quelli di produzione, nel caso di soggetti che esercitano l'attività di produzione industriale. Questo può includere, ad esempio, aziende che producono e vendono direttamente prodotti gastronomici o specialità locali.
Queste disposizioni ampliano significativamente la gamma di esercizi dove i buoni pasto possono essere utilizzati, offrendo ai titolari di buoni pasto maggiori opzioni e flessibilità nell'utilizzo del loro beneficio.
CdL Roberto Rossi