Variazione delle mansioni dei lavoratori: tra normativa e giurisprudenza italiana
La variazione delle mansioni dei lavoratori è un tema di grande rilevanza nel diritto del lavoro italiano. L'art. 3 del D.Lgs. n. 81 del 2015, noto come Jobs Act, ha introdotto una riforma organica dei contratti di lavoro e una revisione della normativa in tema di mansioni e di ius variandi.
Assegnazione di mansioni superiori
L'assegnazione a mansioni superiori è disciplinata dal D.Lgs. n. 81/2015. Il datore di lavoro può adibire il lavoratore a mansioni superiori in via temporanea, senza che l'assegnazione divenga definitiva, per sostituire un lavoratore assente o per modificare effettivamente le condizioni contrattuali. Tuttavia, dopo sei mesi continuativi di assegnazione a mansioni superiori, in assenza di ragioni sostitutive, l'assegnazione diventa definitiva. Inoltre, il lavoratore ha diritto al trattamento economico corrispondente all'attività svolta sin dall'assegnazione temporanea.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26455/2019, ha affermato che il diritto ad una giusta retribuzione va tutelato anche in caso di assegnazione a mansioni superiori, in quanto la retribuzione svolge una funzione corrispettiva e deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto.

Demansionamento
Il demansionamento, ovvero l'assegnazione a mansioni inferiori, è consentito solo entro certi limiti e a determinate condizioni. Il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo, salvo i trattamenti accessori legati alle precedenti mansioni. Il datore di lavoro deve motivare il demansionamento con esigenze organizzative aziendali e rispettare le disposizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL).
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12551/2016, ha posto dei limiti al demansionamento, affermando che non può comportare una lesione del patrimonio professionale del lavoratore.
Clausole elastiche e ius variandi
Le clausole elastiche e lo ius variandi sono due fattispecie diverse che riguardano la possibilità di modificare le mansioni del lavoratore durante il rapporto di lavoro. Lo ius variandi è limitato dal rispetto delle disposizioni di legge e dei contratti collettivi, mentre le clausole elastiche possono essere pattuite in sede di assunzione o con accordo successivo, ampliando le mansioni del lavoratore.
La giurisprudenza italiana, con la sentenza n. 1714/2018 della Corte di Cassazione, ha precisato che l'equivalenza tra mansioni va valutata in concreto, non solo sulla base dell'inquadramento astratto.
La riforma introdotta dal Jobs Act ha portato a un rinnovamento delle norme che regolano la gestione del rapporto di lavoro e l'organizzazione imprenditoriale. La tutela del lavoratore deve essere bilanciata con le esigenze dell'azienda, e la contrattazione collettiva deve adeguarsi a queste nuove necessità. La giurisprudenza italiana ha contribuito a chiarire e a stabilire i limiti e le condizioni per la variazione delle mansioni dei lavoratori, garantendo un equilibrio tra i diritti dei lavoratori e le esigenze delle imprese.
Cosa accade se il lavoratore rifiuta la nuova assegnazione?
Come già accennato sopra, secondo l'articolo 2103 del Codice Civile, il datore di lavoro ha il diritto di modificare le mansioni del lavoratore secondo un criterio di equivalenza delle stesse, ovvero con la possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori o di stabilizzare l’attribuzione di mansioni superiori dopo sei mesi continuativi di effettiva adibizione.
Se il lavoratore rifiuta a priori lo svolgimento di una nuova mansione imposta dal datore di lavoro, potrebbe compiere un atto di insubordinazione, che può essere punito con il licenziamento.
Tuttavia, il lavoratore ha il diritto di chiedere in giudizio di essere ricondotto all’interno della qualifica di appartenenza dell’adempimento extra richiesto. In altre parole, il lavoratore può contestare la decisione del datore di lavoro di cambiare le sue mansioni, ma deve farlo attraverso il giudice del lavoro.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24118 del 3 ottobre 2018, ha stabilito che il lavoratore non può rifiutare a priori una nuova mansione imposta dal datore di lavoro. In questo caso, il lavoratore deve prima agire in tribunale e solo con la sentenza in pugno può rifiutare la nuova mansione.
CdL Roberto Rossi