Mancato controllo della filiera

il caso della Armani Operations s.p.a. e la creazione di concorrenza sleale nel mercato

Moda

Il Tribunale di Milano ha messo sotto amministrazione giudiziaria l’Armani Operations s.p.a., società del gruppo Giorgio Armani che produce e commercializza abbigliamento ed accessori di lusso, imponendo all’amministratore giudiziario nominato di:

  • esaminare l'assetto della società con particolare riferimento al modello organizzativo e gestionale redatto ex art. 6, comma 2 D. Lg. 231/2001 (e dunque con particolare cura nella valutazione della idoneità del modello “a prevenire reati della specie di quello verificatosi”) nello specifico settore di intervento della misura (rapporto con le società fornitrici, verifica concreta della filiera produttiva) in fattispecie ex art. 603 bis c.p.;
  • esaminare le iniziative attuate dalla società a seguito del provvedimento di prevenzione con particolare riferimento alla composizione degli organi amministrativi e di vigilanza interna (sindaci, componenti degli organismi di controllo) ed alla politica contrattuale intrapresa nei confronti delle società fornitrici;
  • rivedere tutti i contratti in essere nel settore delle società fornitrici a partire da quelli stipulati con le imprese appaltatrici (di cui si dirà in seguito nel commento del provvedimento) nonchè rilasciare nulla osta alle risoluzioni contrattuali e alla stipula di nuovi contratti di fornitura inerenti il settore oggetto della misura di prevenzione, oltre la soglia di 10.000,00 euro previa interlocuzione con il Tribunale;

Concretamente il Tribunale ha ritenuto di non prendere il possesso totale dell'attività di impresa e l'assunzione integrale dei poteri di gestione ma, di modulare la misura in modo da assicurare il controllo da parte del Tribunale sugli organi gestori - per esempio per sostituire i componenti della governance e degli organi di controllo, ove necessario, e per adeguare i presidi di controllo interno -, nel contempo lasciando il normale esercizio di impresa in capo agli organi di amministrazione societaria.

Il provvedimento è stato emesso nell’ambito di un’inchiesta per sfruttamento del lavoro condotta dalla Procura delle Repubblica di Milano e del nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri di Milano.

Al centro dell’indagine un sistema di fornitura e subfornitura non controllato; una catena di appalti per la produzione di borse, cinture e oggetti di pelletteria che terminava con l’affidamento del lavoro di confezionamento a opifici abusivi, con manodopera in nero, irregolare e sfruttata.

Il provvedimento è di notevole interesse per la grande attualità del tema del controllo della filiera produttiva da parte dell’imprenditore e per le conseguenze che una condotta quantomeno colpevole può causare all’ente ed al mercato in generale.

La misura preventiva applicata dal Tribunale

Sfruttamento del lavoro

1.1 Il comportamento agevolatorio dell’attività criminosa altrui

Il provvedimento applicato dal Tribunale di Milano con decreto n. 10 del 3 aprile 2024 alla Armani Operations s.p.a. è quello dell'amministrazione giudiziaria, previsto dall'art. 34 comma 1 del D.Lgs 159/2011 che ha come presupposto specifico la ricorrenza di sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle imprenditoriali, abbia carattere ausiliario ed agevolatorio rispetto all'attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una misura di prevenzione ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per una serie di delitti  quali l’associazione di stampo mafioso e l’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ex art. 603-bis c.p.; oltre ai delitti di estorsione, usura, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di illecita provenienza.

La finalità deIl’istituto dell'amministrazione giudiziaria non è repressiva ma piuttosto preventiva, volta cioè a contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario con la finalità di sottrarle, il più rapidamente possibile, aIl'infiItrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti.

L'applicazione deIIa misura dell’amministrazione giudiziaria non presuppone che l'attività economica avente carattere agevolatorio venga esercitata con modalítà illecite, richiedendosi solo che tale attività, seppur esercitata con modalità lecite, abbia offerto un contributo agevolatore ai soggetti di cui si è detto.

Unico presupposto negativo previsto dalla norma è l'insussistenza dei requisiti per applicare una misura di prevenzione nei confronti dell'imprenditore o comunque di colui che esercita l’attività economica agevolatrice: costui deve essere necessariamente soggetto terzo rispetto all’agevolato e le sue attività devono effettivamente rientrare nella sua disponibilità; se così non fosse, se l'imprenditore fosse un mero prestanome del soggetto agevolato, i suoi beni potrebbero, infatti, essere immediatamente aggrediti con il sequestro e la confisca di prevenzione, che può colpire tutto il patrimonio di cui il soggetto proposto può direttamente o indirettamente (appunto tramite fittizie intestazioni) disporre.

Sfruttamento

1.2 La condotta deve avere carattere colposo senza che sia ravvisabile la consapevolzza

Sul piano del profilo soggettivo richiesto per l'applicazione della misura dell’amministrazione giudiziaria di cui si tratta, il soggetto terzo (la società agevolatrice) deve porre in essere una condotta censurabile quantomeno sul piano di rimproverabilità “colposa”, quindi negligente, imprudente o imperita, senza quindi che alla stessa possa essere imputata la piena consapevolezza della relazione di agevolazione. Questo ultimo caso rientrarebbe nelle ipotesi di concorso nel reato ovvero di favoreggiamento.

In sostanza, dovendosi comunque leggere la misura dell'amministrazione giudiziaria come posta anche a favore e a tutela dell'attività imprenditoriale, occorre che la condotta agevolatoria possa essere censurata esclusivamente sul piano del rapporto colposo, che riguardi, cioè, la violazione di normali regole di prudenza e buona amministrazione imprenditoriale che la stessa società si sia data (magari dotandosi di un codice etico) o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da un soggetto, che opera ad un livello medio-alto nel settore degli appalti di opere e/o servizi.

La finalità ultima dell’intervento invasivo del Tribunale è la costruzione di modelli organizzativi e di gestione virtuosi ed efficaci che impediscano nuove infiltrazioni illegali.

I fatti accertati nel corso dell’indagine

Lavoro

Il sistema, stando alla ricostruzione della Procura di Milano, funzionava così:

  • la Giorgio Armani Operations s.p.a. affidava, mediante contratti di appalto, l'intera produzione di borse e cinture a società terze con completa esternalizzazione dei processi produttivi.
  • le società appaltatrici disponevano soltanto nominalmente di adeguata capacità produttiva, occupandosi di fatto esclusivamente di reperire il pellame e gli accessori, tagliare le pezze di pelle, preparare i modelli nei reparti modelleria e prototipia;
  • tali aziende, per competere sul mercato, affidavano a loro volta l'assemblaggio e il confezionamento (quindi tutte le fasi di produzione in serie) ad opifici cinesi, riuscendo ad abbattere i costi grazie all'impiego di manodopera irregolare e clandestina. Il prodotto, assemblato e confezionato dagli opifici esterni, veniva sottoposto dalle società appaltatrici al controllo qualità per poi essere spedito alla società committente.

Il punto di criticità veniva riscontrato proprio nell’appalto della produzione in serie, in quanto le società appaltatrici non erano dotate di una struttura imprenditoriale adeguata al tipo di produzione ovvero di appositi reparti produttivi con operai e macchinari idonei; infatti l'organico dipendente era composto in gran parte da impiegati amministrativi (che si occupano del settore commerciale e dei rapporti con i fornitori e clienti) e da operai altamente qualificati per il taglio e la concia delle pelli, adibiti al controllo qualità e alla preparazione dei modelli; modelli che sarebbero stati poi industrializzati da soggetti terzi individuati dalle stesse società appaltatrici.

In questo sistema, a valle della filiera si trovavano gli opifici a conduzione cinese che avvalendosi di manodopera irregolare, e il più delle volte clandestina, impiegata in violazione delle fondamentali regole di sicurezza (quali, ma non solo, la rimozione dai macchinari dei dispositivi di protezione al fine di per accellerarne la resa produttiva), riuscivano a produrre volumi di decine di migliaia di pezzi, a prezzi talmente sotto soglia da eliminare la concorrenza (si legge nella richiesta di applicazione della misura preventiva che “ qualsiasi azienda che producesse al medesimo prezzo ma ad un costo di lavoro legale andrebbe in perdita dopo poche settimane”).

Lavoro nero

I lavoratori, dei quali diversi in condizione di clandestinità, si trovavano in situazioni abitative degradanti, ricavate all'interno degli stessi luoghi di lavoro, con ambienti abusivi ed insalubri, pericolosi per la Ioro salute e sicurezza (nei laboratori erano realizzati veri e propri dormitori, in locali che non avevano destinazione abitativa, privi di adeguata areazione ed in taluni casi di luce naturale, con impianti elettrici di fortuna e concretamente idonei ad innescare incendi da sovraccarico e corto circuito, con servizi igienici e cucina totalmente inadeguati), lavoravano con macchinari sui quali non erano presenti i dispositivi di sicurezza — perché appositamente e dolosamente rimossi -, nonché a contatto con agenti chimici utilizzati per la produzione, che non erano conservati in modo da garantire la sicurezza da contaminazioni, e non erano sottoposti a visite mediche di idoneità al lavoro, né a corsi di formazione, anche per prendere cognizione dei rischi connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa.

Al chiaro fine di abbattere i costi del lavoro, venivano completamente evase le imposte dirette relative al costo dipendenti (contributi, assicurazione infortuni, Irpef, addizionali comunali e regionali ecc..) e completamente omessi tutti i costi relativi la sicurezza, sia dei dipendenti (con la rimozione dei dispositivi di sicurezza delle macchine) che degli ambienti di lavoro (visite mediche, formazione ed informazione, oltre alla mancata redazione del DVR aziendale).

Per la Procura di Milano la carenza di modelli organizzativi ai sensi del D.Lgs 231/2001 ed un sistema di internal audit fallace ha agevolato la commissione del reato di sfruttamento di lavoro.

Le valutazioni del Tribunale

Per i Giudici milanesi è fuor di dubbio che la Armani Operations s.p.a. non abbia mai effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione dalle stesse adottate e che sia rimasta inerte pur venendo a conoscenza deIl'esternaIizzazione di produzioni da parte delle società fornitrici, omettendo di assumere iniziative come la richiesta formale della verifica della filiera dei sub-appalti o di autorizzazione alla concessione dei sub-appalti, sino alla rescissione dei legami commerciali.

La condotta “agevolatoria” (il mancato controllo della filiera) è stata ritenutaconnessa in modo strutturale ed endemico all'organizzazione della produzione da parte della società nonché funzionale a realizzare una massimizzazione dei profitti, anche a costo di instaurare stabili rapporti con soggetti dediti allo sfruttamento dei lavoratori”.

Dall’esame del materiale probatorio i Giudici hanno ritenuto chiaramente emergere la realizzazione da parte dei titolari delle ditte cinesi delle condotte illecite riconducibili al reato di cui all'art. 603  bis c.p. (intermediazione illecita e sfruttamento di lavoro) che punisce chi “{...] utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.

Il Tribunale di Milano segnala come il fenomeno dell’intermediazione illecita e sfruttamento del Iavoro, oltre a sottoporre i lavoratori a condizioni di sfruttamento e rischio per la Ioro incolumità, abbia significativi riflessi in termini di concorrenza all'interno del mercato del lavoro; le aziende virtuose, infatti, sostengono spese di retribuzione, contribuzione, assicurazione e di gestione della sicurezza che sono del tutto sbilanciate rispetto a chi, come gli imprenditori cinesi sopra indicati, le riduce in modo significativo o le omette del tutto, creando una concorrenza altamente sleale nei confronti delle prime.

Sicurezza sul lavoro

Il fenomeno descritto, oltre che sottoporre i lavoratori a condizioni di sfruttamento e rischio per la Ioro incolumità, incide, falsandolo, sul mercato del lavoro, che nel caso di aziende virtuose espone le stesse a spese di retribuzione, contribuzione, assicurazione e di gestione della sicurezza del tutto sbilanciate rispetto a chi, come le ditte scrutinate, bypassandole in toto, le annulla completamente creando una concorrenza altamente sleale nei confronti di chi assume correttamente il proprio personale ai costi previsti dalla contrattazione collettiva vigente.

Conclusioni

Il provvedimento del Tribunale di Milano in esame offre molti spunti di riflessione, sia dal punto di vista giuridico che latamente sociale.

Ciò che interessa sottolineare in questa sede è il rilievo che viene sempre più dato al Modello Organizzativo ex D Lgs 231/01 come baluardo di legalità e di prevenzione dei reati.

Il sistema dei subappalti a cascata è una prassi diffusa in diversi settori dell’impresa e di recente balzato all’onore della cronaca per il rettore della moda (non solo Armani ma anche la Alviero Martini s.p.a.) e della logistica (di recente la GS del grupppo Caffefour).

Questo sistema prevede che il committente principale affidi una parte del lavoro ad un appaltatore, il quale a sua volta può affidare il lavoro ad altri subappaltatori, e così via. Il mancato controllo di questa filiera da parte del committente agevola il lavoro nero, irregolare, sottopagato, le condizioni di salute e sicurezza precarie, illegalità.

Concorrenza sleale

Bene ha fatto il Tribunale di Milano a sottolineare che i rischi non sono solo quelli (gravissimi ed inaccettabili) legati allo sfruttamento del lavoro ma anche quelli legati alla concorrenza sleale sottolineando come “le aziende virtuose, infatti, sostengono spese di retribuzione, contribuzione, assicurazione e di gestione della sicurezza che sono del tutto sbilanciate rispetto a chi, come gli imprenditori cinesi sopra indicati, le riduce in modo significativo o le omette del tutto, creando una concorrenza altamente sleale nei confronti delle prime.”.

Avv. Massimo Morelli

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